Forse i meno giovani se la ricorderanno: era una “reclame” famosissima per quell’epoca, i primi anni ’60, quando un giovane Gino Bramieri promuoveva un prodotto industriale rivoluzionario, con lo slogan di “E mo’ e mo’…Moplen”!
Si trattava, appunto, del marchio Moplen, uno dei simboli del boom economico, e che cambiò completamente il modo di concepire molti degli oggetti di uso comune del nostro quotidiano, da quegli anni via via sempre di più sino ai nostri giorni. Quel “brand”, però, altro non era che il nome industriale per identificare il polipropilene, un materiale plastico altamente versatile, a bassissimo costo e scarso impatto ambientale.
Scoperto da Giulio Natta nel 1954, con un’affermazione che gli valse il Nobel per la Chimica nel 1963, insieme al tedesco Karl Ziegler, cominciò ad essere prodotto dall’industria italiana Montecatini (successivamente Montedison) e riscosse da subito un notevole successo.
Il suffisso “Poli” deriva da polimero, che è la base della materia: una molecola costituita da un gran numero di gruppi molecolari uguali o diversi (nei copolimeri), uniti in una forma “a catena” tramite la ripetizione dello stesso tipo di legame. Nella fattispecie, il Polipropilene è formato da catene lineari o poco ramificate, non reticolate, vale a dire non legate l’una con l’altra. Questa caratteristica fa sì che aumentando la temperatura, si possa portare la sostanza in uno stato viscoso e, quindi, si possa formare a piacimento. Il PP (abbreviativo largamente utilizzato) è, appunto, un polimero termoplastico e isotattico, caratterizzato da un alto carico di rottura, una bassa densità, nonché una buona resistenza sia termica sia all’abrasione.
Questa materia plastica di sintesi, leggera, resistente, innovativa, usata su larga scala a livello mondiale, (qui per esempio, un’azienda specializzata in produzione polipropilene) ottenuta da frazioni del petrolio e molto adatta al riciclaggio, è altamente versatile, al punto che trova un enorme impiego in tutti gli ambiti in cui si utilizza la plastica: rigida e morbida, in pezzature minute e per grandi ampiezze, per alimenti e, (addirittura), per abbigliamento.
Come non pensare, per esempio, ai contenitori alimentari rigidi, quelli per i cibi d’asporto in gastronomia o al supermercato, ma anche ai vasetti di yogurt o ai bicchierini di plastica per il caffè? E poi ad utensili e accessori presenti in ogni cucina, come lo scolapasta o lo spremiagrumi, o ancora i tappi delle diffusissime bottigliette d’acqua.
Non solo: il PP viene anche largamente utilizzato come materiale di imballaggio, per produrre sacchi e spaghi; e che dire poi dei cruscotti delle automobili, o delle siringhe monouso, dei pannelli fonoassorbenti, di molte attrezzature di laboratorio e persino di alcune suture per interventi chirurgici!
Come dicevamo, poi, viene usato in alcuni capi d’abbigliamento, soprattutto quello sportivo, poiché offre sensazioni di calore e asciutto, e un’ottima resistenza a sporco e batteri. Molto adatto per i climi caldo-umidi, si utilizza soprattutto per indumenti relativi ad attività che sottopongono il corpo ad abbondante sudorazione e a frequenti sbalzi di temperatura. Da non sottovalutare, a riguardo, anche la sua estrema leggerezza, che gli consente di essere estremamente versatile per la realizzazione di capi di maggior comfort e libertà di movimento, pur mantenendo una buona capacità d’isolamento termico. È anche permeabile al vapore e, di conseguenza, molto traspirante e asciuga velocemente.
E si potrebbe continuare a lungo, anche perché le applicazioni di questa composizione “magica” sono sempre in aggiornamento. Ne è passato di tempo, ma quel “Moplen” è ancora una rivoluzione!